Sentenza della Corte costituzionale del 19 gennaio 2024, n. 6, in materia di liquidazione controllata

Con sentenza depositata il 19 gennaio scorso, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2, c.c.i.i. sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Arezzo con ordinanze del 3 marzo 2023, 7 marzo 2023, 19 luglio 2023, 8 agosto 2023.

La disposizione censurata prevede che «sono compresi nella liquidazione giudiziale anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi» ed era stata ritenuta applicabile, dal giudice a quo, alla liquidazione controllata in assenza di una disposizione analoga specificamente dettata per quest’ultima procedura.

In tutte le ordinanze il giudice rimettente, esclusa la possibilità di percorrere una interpretazione conforme alla Costituzione della norma censurata, riteneva non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2, c.c.i.i., in quanto applicabile alla procedura di liquidazione controllata, per non aver previsto un limite temporale all’acquisizione di beni sopravvenuti all’apertura della procedura concorsuale.

La Corte, dopo aver precisato che la norma censurata non è desumibile necessariamente da quanto dispone, per la liquidazione giudiziale, l’art. 142, comma 2, c.c.i.i., ma può essere altresì dedotta da quanto prevede, direttamente per la liquidazione controllata, l’art. 268, comma 4, lett. b), c.c.i.i. (che stabilisce che non sono compresi nella liquidazione «i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia»), conclude per la non fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

In particolare, la Corte costituzionale afferma che la mancata previsione, nella norma censurata, di un termine fisso per l’apprensione dei beni sopravvenuti non comprime irragionevolmente la tutela dei creditori. Rientra nella discrezionalità del legislatore sostituire un termine “fisso” con un termine che si plasma sulle concrete esigenze che emergono, nella singola procedura, a tutela dei creditori. La durata dell’apprensione dei beni sopravvenuti dipende dall’ammontare delle risorse complessive disponibili e dall’entità dei crediti concorsuali, oltre che delle spese di procedura, fatto salvo il limite temporale desumibile dall’istituto dell’esdebitazione (tre anni dall’apertura della procedura).

La Corte aggiunge che quest’ultimo termine, fintantoché vi siano debiti da adempiere nell’ambito della procedura concorsuale, finisce per operare non solo quale termine massimo, ma anche quale termine minimo di apprensione dei beni sopravvenuti del debitore.

Alessandra Zanardo, 25 gennaio 2024

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